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Leonardo De Mango
Ins: 28/12/2011 - 09:10
Autore:
Giuseppe Caccialupi

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Leonardo De Mango
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Descrizione:
Leonardo de Mango.

I percorsi di una vita tra l’Italia e l’Oriente di Piero Consiglio e GiacintoLa Notte.
(Estratto dal Catalogo della Mosrra su Leonrdo de Mango Istanbul 2005)


Non è facile delineare un profilo biografico del de Mango contenente elementi di novità nella penuria delle fonti. La modesta posizione economica sua e della sua famiglia, che ne ha condizionato pesantemente e costantemente la vita ed il percorso artistico, non ha consentito la formazione e la conservazione di un archivio personale e soprattutto non ha evitato la dispersione del patrimonio artistico che morendo egli lasciò nel suo studio a Costantinopoli, compreso un grande album di disegni documento estremamente significativo che più d’ogni altra cosa ne raccontava l’evoluzione artistica e le mete del suo lungo vagare. Adolphe Thalasso, che scrivendo nel 1910, apprende direttamente dal pittore le notizie sulla sua vita, tende a darne un’interpretazione idealizzata, sorvolando sulle difficoltà che afflissero il pittore.
Poco di più si riesce a conoscere dal Mori (1906), dal Marchione (1913 e 1928), dal Lacchia (1929). Ad oggi introvabili il Frangini ed il Ferretti. A tali fonti pubblicate si aggiungono alcune lettere del De Mango al fratello Carlo e altri documenti, oggi in collezione Marvulli, e soprattutto una raccolta di riproduzioni fotografiche di suoi quadri, inviate dal pittore all’amico Berardino Campanale, oggi in collezione Albrizio-Campanale, assai interessante per le annotazioni autografe apposte a tergo di ciascuna, che indicano il soggetto dei dipinti fotografati, la cui raccolta ha costituito, sinora, il più completo repertorio delle sue opere.
Articoli di vari giornali, stampati a Costantinopoli e inviati a Bisceglie, parlano delle sue mostre e riferiscono della sua morte.
Questo il materiale biografico, raccolto in copia presso il Museo Diocesano di Bisceglie, e messo a disposizione degli autori che più recentemente se ne sono occupati (Juler, Fusco, Farese-Sperken). Si aggiungono in questa occasione altre notizie tratte dagli archivi dell’Istituto di Belle Arti di Napoli, della Provincia di Bari, del Comune di Bisceglie e delle Società Operaie di Bisceglie e di Costantinopoli. Nulla si è potuto apprendere, sinora, dall’archivio del Consolato italiano di Istambul o dal Collegio dei Gesuiti di Beirut.

1843-1863 La giovinezza
Leonardo de Mango nasce a Bisceglie, piccolo centro costiero a nord di Bari, il 19 febbraio 1843 da Pietro, calzolaio, e Pasqua Gramegna. La famiglia abita in un quartiere di periferia denominato “Pozzo marrone”, sul ciglio di una lama che nasce tra olivi e filari di viti, s’affonda in orti verdi e giardini, lambisce le antiche mura della città e versa al mare gli odori ed i silenzi della campagna. Possiamo immaginare che in questi luoghi, dove l’uomo a fatica sottrae all’asperità della roccia gli spazi appena necessari per edificarvi un tetto, una stalla, un pagliaio, intorno ai quali consuma la sua esistenza, egli abbia assimilato indelebilmente quel repertorio di scenette e figurine che replicherà nei suoi quadri giacché nella natura, così come la dipinge de Mango, sempre interagisce l’uomo.
Adolphe Thalasso racconta che mentre i coetanei giocavano al saltarello ed alla morra "egli non aveva altro divertimento che quello di riprodurre a matita o penna le scene che colpivano i suoi occhi. Tutto disegnò: i pescatori del porto, i contadini della campagna circostante, i cortili del paese, il mare ora sereno ora corrucciato ". E, avendo esaminato una cinquantina di quei disegni che il pittore aveva portato con sé a Costantinopoli, vi trova una trasposizione assai fedele del paesaggio meridionale, attribuibile unicamente al talento dell’Autore, considerato che a quel tempo egli non aveva altra guida.
"Fino all’età di vent’anni non ebbe altro maestro che se stesso" afferma il Thalasso. E del resto, in un paese di provincia, non poteva essere altrimenti. Delle raccolte di quadri, che pure una volta, stando agli antichi inventari, ricoprivano gli interni dei palazzi biscegliesi, non rimaneva neppure il ricordo. Per conseguenza, l’osservazione del de Mango non poteva che fermarsi sugli apparati decorativi delle chiese o su qualche ritratto di famiglia. Né è difficile immaginarlo sotto l’impalcatura di un decoratore, interessato a tecniche e modalità di esecuzione. Pochissimi i biscegliesi dediti alle arti figurative che egli può aver conosciuto, sia che si tratti di semi-professionisti, cioè esercenti l’arte al fine di trarvi, almeno in parte, mezzi di sostentamento sia che si tratti di dilettanti, appartenenti a famiglie facoltose, per i quali gli studi di pittura costituivano un completamento dell’educazione e la cui produzione quasi mai varcava i muri domestici.

1863-1870 Gli studi in Napoli
Volendo assecondare l’inclinazione manifestata dal figlio ma non disponendo dei mezzi necessari, nel 1863 Pietro chiede alla Provincia di Bari, istituita dopo l’unificazione nazionale (1861), un contributo che consenta al ragazzo di studiare in Napoli presso l’Istituto di Belle Arti con “piazza franca”. Per le disagiate condizioni economiche della famiglia, il sussidio viene accordato nella misura massima consentita di sessanta lire mensili, grazie all’intervento del conte Giulio Frisari, biscegliese, Consigliere (e poi Presidente) della Deputazione Provinciale.
Partito per Napoli il 21giugno 1863, al 15 luglio non risulta ancora accolto in Istituto cosicché il padre, impossibilitato a sostenere ulteriormente le spese di soggiorno, è costretto ad intervenire con una lettera di sollecito presso il direttore.
Il giovane varca la soglia dell’Istituto munito solo del suo talento naturale e della buona volontà ma, come tanti altri alunni, con una scarsa istruzione di base. Il Prof. Federico Maldarelli, nel consiglio dei docenti del 9 novembre 1864, non può fare a meno di rilevare quanto il fenomeno sia diffuso e, denunciando negli alunni "la mancanza di preparazione letteraria, fondamento di buoni artisti" chiede che si faccia istanza a tutte le Province di migliorarne il livello di formazione. Ed è da presumere che abbia trovato d’accordo l’intero corpo docente, allora costituito da personaggi che si chiamavano Camillo (O ACHILLE)Guerra, Gabriele Smargiassi, Raffaele Spanò, Giovanni Salomone, Teodoro Duclère, Domenico Morelli, Antonio Licata, Raffaele Postiglione, Giuseppe Abbati, Luigi Rocco e Michele De Napoli. Incombenze relative agli obblighi di leva richiamano il giovane a Bisceglie per qualche giorno nel marzo 1864.
La Deputazione provinciale vigila continuamente sul rendimento dei sussidiati, tra i quali, oltre al de Mango, figurano Geremia Di Scanno di Barletta e Lorenzo Starita di Bari, cui nel ’65 si aggiungerà Antonio Piccinni di Trani, tutti destinati, sia pure in misura diversa, a notorietà e successo nel campo della pittura. Ad un anno dalla concessione chiede elaborati per verificare i progressi e relazioni sul merito e sul comportamento degli alunni sovvenzionati.
de Mango frequentava, allora, la prima classe dei Gessi "con assiduità e profitto", come attesta l’Istituto, e portava avanti l’esecuzione di un disegno nella scuola d’Aloysio per mandarlo come saggio. Nell’anno scolastico 1866-67 vince il primo premio in quella stessa scuola con il disegno della “Venere del Campidoglio”. Ciò gli consente, secondo i regolamenti dell’Istituto, di passare finalmente alla Scuola di Pittura. Per "provvedersi degli utensili occorrenti" chiede alla Provincia l’anticipazione del sussidio e l’Istituto, sostenendo la richiesta, assicura che egli "è molto diligente e di lodevolissima condotta".
La partecipazione italiana alla guerra che la Prussia condusse vittoriosamente contro l’Austria e che valse all’Italia l’annessione del Veneto (detta poi terza guerra di Indipendenza), nell’estate del 1866 interrompe il tranquillo corso degli studi. de Mango lascia Napoli per prendere servizio nell’Esercito Nazionale ma già il 2 settembre scrive da Ravenna al segretario dell’Istituto: "Come facilmente avrà letto o saputo, i giornali ravennati portano la pace conclusa e quindi il disarmo delle seconde categorie; e già quella del ’65 l’è stata congedata. Io ho la piena speranza che ciò sia vero, così cogli altri potremo riprendere le nostre carriere e studiarle con più vigoria di prima. Abbia la cortesia di salutarmi il signor direttore cavalier Dalbono, il cavalier Maldarelli e il prof. Bellisario…". In tale emergenza trascura di inviare a Bari il rituale saggio, per cui la Provincia sospende l’erogazione del contributo. Al fine di recuperarlo, Gennaro Ruo, professore aggiunto della scuola di pittura, il 13 gennaio 1868, si affretta a certificare che l’allievo studia sotto la sua direzione nella seconda classe della scuola di pittura, con molta assiduità e profitto, e che "continuando in questa disposizione potrà divenire Artista", aggiungendo, in una successiva lettera del 14 febbraio, che il medesimo ha eseguito sotto la sua direzione una copia di un dipinto rappresentante un Ammiraglio Veneziano de’ tempi antichi. Ammiraglio veneziano E’ questo il saggio che finalmente perviene alla Provincia, oggi inventariato in quella Pinacoteca come Doge veneziano. In conseguenza de Mango viene riammesso al godimento del sussidio per completare il periodo di sei anni, termine massimo per gli alunni in Belle Arti, "avendone egli goduto dal giugno 1863 al dicembre 1867". Dal 1870, infatti, il suo nome non compare più nell’elenco dei sussidiati. A questo punto Thalasso nella sua biografia, tesa a creare il personaggio, parla di viaggi a Napoli e Venezia ma è da supporre che de Mango conobbe Napoli solo per avervi risieduto nel periodo degli studi e Venezia per averla forse raggiunta nel breve periodo in cui prestò servizio militare. Le finanze della famiglia non potevano consentirgli costosi spostamenti.

1870-1874 La disoccupazione e la decisione di emigrare
Terminati gli studi, torna a Bisceglie con l’idea di rimanervi stabilmente. L’economia cittadina, essenzialmente basata sull’agricoltura e sul commercio dei prodotti agricoli (vino ed olio), non lascia intravedere grandi prospettive. Peraltro l’Italia, come del resto l’intera economia internazionale, si avviava verso un lungo periodo di depressione (1873-1896). L’introduzione di tariffe doganali protezionistiche (1887) e la conseguente guerra commerciale con la Francia(1888-1898), colpiranno duramente proprio le esportazioni di vino da taglio, una delle principali risorse dell’Italia meridionale. A ciò si aggiunge la diffusione della fillossera, piccolo parassita dagli effetti devastanti sulla vite. Le aziende più aggiornate che avevano investito la loro liquidità nelle piantagioni viticole e nell’ammodernamento delle produzioni vinicole, presto si troveranno , con tutto l’indotto ad essa legato, sull’orlo del fallimento. Tutto ciò restringe ulteriormente una committenza pressocchè inesistente ed essenzialmente limitata alla ritrattistica che, peraltro, già subiva la lenta erosione dovuta al diffondersi della fotografia.
Alla crisi in atto nelle campagne, l’unica risposta possibile da parte dei contadini è, come ormai succedeva da tempo, l’emigrazione.
Gli artigiani, invece, rafforzarono il loro spirito di solidarietà, già dimostrato sin dal 1863 con la fondazione dell’Associazione degli Operai Biscegliesi. Questa persegue, accanto a generici intenti di elevazione morale e civile, più concreti scopi mutualistici consistenti nel "procurare lavoro ai Soci che ne difettassero, e accreditarli con varie garanzie dè fondi del Risparmio nelle loro intraprese; di favorire l’immegliamento di ogni arte, mestiere ed industrie; di provvedere alle infermità dei Soci, alle vedove e agli orfani di tenera età; di sostenere e difendere energicamente i giusti reclami dei Soci presso il Governo ed il Municipio". De Mango condividendo gli ideali dell’Assoziazione, vi si iscrive, su probabile invito del suo protettore, conte Giulio Frisari, che in quel tempo ne reggeva la presidenza, e con entusiasmo vi dedica il suo impegno assumendo la carica di Vice Segretario. I suoi interventi nelle assemblee sociali lasciano già chiaramente vedere quel rigore morale e quello spirito di solidarietà che saranno una costante della sua esistenza: E’ sua, infatti, la proposta di apportare modifiche alle norme statutarie dirette a consentire l’ammissibilità di persone condannate per reati politici o per delitti non gravi per la "coscienza dell’uomo onesto".
Ma proprio qui dovrà incontrare le sue prime delusioni: profilatasi la possibilità di un lavoro nell’ambito dello stesso sodalizio, viene tenuto in disparte. Infatti, dovendosi ritoccare l’insegna dell’associazione, egli propone di crearne una nuova. Il bozzetto che presenta "esprime il concetto dell’Italia che addita il sorgere dell’aurora, con altre due figure indicanti l’industria ed il commercio, come figure tutte simboliche, e di un concetto sublime, come sublime è la istituzione". Chiede, in conseguenza, che venga rimossa la vecchia insegna contenente due tigri che "dan la trista idea di voler ingoiare ciocchè con stenti e sudore ciascun Socio si sforza depositare per il suo avvenire". Non volendo perdere una rara occasione per far conoscere la sua abilità di artista dichiara di rinunziare agli onorari ma la proposta viene rigettata perché il solo costo dei materiali (80 lire) sembra eccessivo "per la Società che raggranella a centesimi quel tanto che servir potrà".
Traspare da quel progetto tutto il bagaglio culturale che l’artista ha assimilato nel periodo napoletano e che segnerà un’incolmabile distanza tra lui e gli altri membri dell’associazione e della sua stessa famiglia. In due anni dal suo rientro in Bisceglie, per quanto si sappia, gli vengono commissionati solamente due ritratti: quelli di Mauro Ingravalle (1870) Don Mauro Ingravalle e di Giuseppe Monterisi (1871) Giuseppe Monterisi ; deve, dunque, amaramente convincersi che l’ambiente economico e culturale della città non gli offre alcuna prospettiva.
Anche per lui non resta che emigrare. "L’esercizio dell’arte che professo mi chiama a vivere sotto altro cielo" così inizia la lettera con la quale il 14 maggio 1874 egli rassegna le sue dimissioni dal sodalizio, ringraziando i confratelli per gli incarichi a lui affidati senza nascondere la propria commozione : "è superfluo il dire quanto mi sia increscioso dividermi da una così santa istituzione, alla quale ero ora tanto affezionato". Affretta quindi l’esecuzione del Ritratto di Garibaldi, Presidente Onorario del sodalizio, che gli era stato commissionato, consegnandolo gratuitamente alla Società Operaia in proprio ricordo prima della partenza.
L’Associazione gli esprime la sua gratitudine: in particolare, "Avuto in considerazione gli incarichi disimpegnati con tanta lode dal Sig. De Mango, il Consiglio fa voti ch’egli trovi in altra terra quella fortuna che Bisceglie non può dare a tutti i suoi figli, e (delibera) che per i suoi meriti sia ritenuto Socio, dandoglisi un diploma, che se non valga a fargli trovare nelle occasioni fratelli in terra straniera, gli ricordi, se non altro, quelli che ha lasciato nella sua patria" e questo diploma de Mango certamente presenterà anni dopo alla Società Operaia di Costantinopoli nella quale andrà a proseguire il suo impegno sociale e culturale.

1874-1883 In Siria, Egitto e Libia
Nell’estate del 1874 parte da Bisceglie. Sono gli anni dell’imperialismo (1870-1914): le maggiori potenze europee s’impegnano in un’accanita competizione per realizzare tra loro la spartizione del continente africano. La partita tra le diplomazie si gioca anche sullo scacchiere medio-orientale.
L’opinione pubblica partecipa attratta dal fascino dell’esotismo, coinvolta dall’opera “emancipatrice” dei missionari, interessata dalle relazioni scientifiche degli esploratori e sollecitata da tutto un filone letterario del quale sono emblematiche due opere di De Amicis: Marocco (1876) e Costantinopoli (1877), la cui riedizione del 1894 verrà illustrata da Cesare Biseo. L’apertura del Canale di Suez (1869) ed altre importanti lavori, quali la costruzione di strade e ferrovie, interesseranno vasti territori richiamando imprese e manodopera dall’occidente determinando un flusso migratorio in quella direzione. Per tutte queste ragioni i paesi del nord Africa e del Medio Oriente assumono un rilievo di primo piano nell’immaginario collettivo, come si direbbe oggi. In un clima siffatto potrebbe trovare spiegazione la meta prescelta da de Mango, la Siria, che egli percorre in ogni direzione, fissando la sua residenza a Beirut ove gli viene offerto un lavoro come professore di disegno presso il collegio dei Gesuiti.
Qui avrebbe dipinto, secondo il Thalasso, oltre a paesaggi e marine, anche soggetti religiosi. Non sembra sia rimasta traccia di questi ultimi ma non c’è ragione di dubitare dell’affermazione del Thalasso sia per la sua autorevolezza, sia per l’ambito ecclesiastico in cui l’artista andò ad inserirsi,sia per i suoi precedenti scolastici, non troppo lontani, presso Federico Maldarelli, Giuseppe Mancinelli e, soprattutto, Giuseppe Bellisario, tutti specialisti in tal genere. Di questo periodo si conoscono una Testa di maronita di Beiruth (1877) e una Bottega del barbiere”(1877).
Agli otto anni di permanenza in Siria devono ascriversi anche lo studio per Tempio circolare di Baalbeck, datato 20 maggio 1882 ed inviato, molto più tardi, alla rivista L’Artista Moderno per il volume in preparazione sull’Arte Antica e quelli per Il Cantastorie d’Oriente, che vedrà la versione finale nel 1902, e per La Rue Midan e la Suite de la Rue Midan di Damasco, che verranno dipinti e replicati a Costantinopoli nel 1903, nel 1907 e nel 1908. Del 1882 è pure uno studio per “Paesaggio con palma”, recentemente comparso sul mercato antiquario. Altri numerosi schizzi e disegni di quegli anni testimoniano i suoi spostamenti tra Egitto e Libia alla ricerca di panorami e scene di folklore. Raccolti in un voluminoso album, compendieranno tutte le sue emozioni di artista alle quali sempre ricorrerà per trarne motivi di ispirazione.
Sempre Thalasso riferisce che al Cairo dipinge le piramidi e le rive del Nilo mentre a Tripoli, ove si ferma per alcuni mesi, avrebbe dipinto un grandioso Panorama, un Tramonto nei dintorni di Tripoli, le Fortificazioni della città, la Tomba o Marabouth di Sidi-Manzour Al Hammandij, ed infine l’Arco di Trionfo di Marco Aurelio. In realtà, almeno alcuni dei quadri citati dal Thalasso furono eseguiti solo successivamente, tra il 1903 ed il 1908, nel suo atelier di Costantinopoli, sulla scorta dei disegni raccolti nell’album.
Riferibile a quegli anni è anche l’importante dipinto, La notizia della resa di Tell-el-Khebir, raffigurante un episodio militare del 1882 che segna la ripresa del controllo inglese in Egitto.
Inviato a Torino per l’Esposizione del 1884, se ne ignora l’attuale collocazione.
A Bisceglie invia il ritratto di Maria Ingravalle Maria Albrizio Ingravalle 171.JPG , datato 1881 e, al suo amico e benefattore il conte Giulio Frisari Giulio Frisari , una fotografia con dedica "in segno della sua profonda stima ed affetto", realizzata in Beirut presso lo studio “Ponfils Felix Photographe”, che è la prima raffigurazione giovanile del pittore che si conosca.

1883-1895 Il primo periodo a Costantinopoli
Racconta Thalasso che "il cielo di Siria e di Egitto avevano stregato l’artista. L’Oriente, ormai, lo teneva prigioniero. Dopo un soggiorno di qualche settimana a Milano si imbarca per Costantinopoli dove giunge nel 1883", attratto forse dall’idea di un insegnamento nella neo istituita Accademia di Belle Arti.
Qui trova un ambiente artistico in piena evoluzione. Già nel 1874 Guillemet, un artista francese, vi aveva aperto una scuola di pittura pretenziosamente chiamata Accademia. Nello stesso anno ritornava da Parigi, dove aveva studiato presso la scuola di Belle Arti, il pittore Ahmed Ali Pacha e subito organizzava una Mostra presso la scuola di Arti e Mestieri di Stamboul. L’anno seguente Guillemet espone i primi saggi dei suoi alunni presso l’Università e ripropone la manifestazione nei due anni successivi. L’impulso decisivo a questo sviluppo si deve a Osman Hamdy Bey, fondatore della Scuola Imperiale di Belle Arti di Costantinopoli. L’edificio che la ospita, costruito su progetto di Alessandro Vallauri, e viene inaugurato nel 1883. Allo stesso Hamdy Bey resta affidata la direzione mentre per i vari corsi vengono incaricati artisti stranieri sopraggiunti in quegli anni: Salvatore Valeri e J. Warnia-Zarzecki per la Pittura, E. Osgan Effendi per la Scultura, lo stesso Vallauri per l’Architettura e M. Napiè per la Grafica. Nel frattempo ritorna da Parigi dove aveva studiato anche Halil Bey e fissano la loro residenza a Costantinopoli tre pittori italiani: de Mango (1883), Zonaro (1891) e Bello (1893). Il Thalasso, che ci fornisce le notizie, sostiene che questi artisti supportarono con le loro opere i principi informatori della scuola di Belle Arti, ponendo le basi per una scuola orientalista la cui caratteristica distintiva consiste nel voler suscitare presso lo spettatore le impressioni che l’artista riceve non tanto dall’osservazione diretta delle cose quanto dall’azione della luce su quelle stesse cose ".
In questo ambiente egli si inserisce impiantando un atelier assai frequentato dai viaggiatori desiderosi di portare con sé immagini artistiche dell’Oriente ritratto nei suoi aspetti paesistici ed antropologici più interessanti. Oltre ad una produzione di piccolo formato di uso commerciale egli si impegna nell’ideazione e realizzazione di dipinti di maggiori dimensioni, destinati ad una clientela più esigente ed in grado di apprezzarne il valore artistico.
Qui si fa ritrarre nell’atelier fotografico “Abdullah Frères”, con il viso ornato da imponenti favoriti e qui incrocia il suo destino con un altro italiano, che forse aveva già conosciuto a Beirut, il musicista Rosario Nava, col quale dividerà la casa e l’esistenza per più di quarant’anni in perfetta armonia.
Nel 1885, maturata l’idea di fermarsi definitivamente a Costantinopoli, si iscrive alla locale Società Operaia, che proprio in quegli anni va costruendo la nuova sede in Via Esagì, nella parte più centrale di Pera. Interpellato per la decorazione di un soffitto, rifiuta dichiarando che la "pittura a fresco non è il suo genere". Assiduo frequentatore del sodalizio, assume incarichi di crescente prestigio: Segretario (1886-88), poi Consigliere (1889-1903), Vice Presidente (1907-1915), Presidente (1915-1923) e Presidente dell’Assemblea (1922-1926), finchè il 6 aprile 1924, per i suoi meriti, verrà esonerato dai pagamenti e proclamato Socio Benemerito. Anche alle sue donazioni si deve l’arricchimento della considerevole biblioteca sociale.
Numerosi disegni raccolti nel suo album attestano i suoi spostamenti anche in Turchia. Le annotazioni al margine di quei fogli non bastano a svelare i percorsi della sua esistenza, che restano sostanzialmente oscuri. Sotto il disegno di una tenda da campo annota: "Ricordo di Bujukdere, che richiama alla mia memoria il disgraziato caso di Zachariakeui, 18 agosto 1886" e, a tergo della riproduzione fotografica precisa: "Accampamento di zingari nei dintorni di Bouyudhere; ricordo dei miei oggetti d’arte sequestrati dai turchi mentre facevo gli studi pel mio quadro “Alla fontana”. Alla fontana Oggetti che il Barone Blanc, nostro Ambasciatore allora (1886) mi fece rendere dopo 11 mesi ch’essi li ebbero in mano".
Del periodo che va dalla metà degli anni Ottanta al 1895 conosciamo un Porto di Costantinopoli con barca (1887), un Ritratto di Maria Gramegna (1887), la Marina di Prinkipo, datata 8 giugno 1887, che, come vedremo, sarà acquistata nel 1928 dall’On. Grandi per Palazzo Chigi, allora sede in Roma del Ministero degli Affari Esteri, la Moschea verde dal ponte Serbasci (1888), un Panorama sul mar di Marmara (1889), la Fuga in Egitto (1890) Fuga in Egitto , la Torre di Leandro (1890), un Tramonto visto da Cadikenj (1893). Nel 1894 il suo studio è in Via Minare.

1895 Un’estate a Bisceglie
Il primo ritorno documentato del pittore a Bisceglie risale all’estate del 1895. Con la città natale egli vivrà sempre un rapporto di amore-odio che lo attirerà irrazionalmente per la vasta rete parentale e per i luoghi dell’infanzia mitizzati dalla lontananza, ma, al contempo, lo respingerà per i limiti culturali e di mentalità, tanto più evidenti se confrontati con la dimensione di una città cosmopolita come Costantinopoli.
Donato Pasquale (1853-1919) Donato Pasquale , facoltoso commerciante di vini, seguendo una moda diffusa presso la borghesia meridionale che vuole effigiate, sui soffitti delle dimore, le proprietà immobiliari più rappresentative della famiglia, gli commissiona due quadri raffiguranti lo stabilimento vinicolo fonte della sua agiatezza. E’ l’atteso pretesto per realizzare due vedute panoramiche della città natale, l’una al mattino e l’altra al tramonto.
Nell’agosto dipinge il Panorama di Bisceglie dalla Via di Molfetta Veduta di Bisceglie da Molfetta . Posta tra il cielo chiaro che la sovrasta ed il verde della campagna che le sta innanzi, la città è una striscia tinta di rosa alla luce del sole che sorge. L’espediente della strada che, partendo dal margine inferiore, taglia l’angolo sinistro per perdersi dopo una curva tra le prime case della periferia, marca la profondità della composizione. Seguendo lo sky-line sono percepibili i principali monumenti della città. A partire da sinistra la chiesa della Misericordia con il suo portico e la cupola ottagonale, il tetto a cuspide del teatro Garibaldi, il belvedere del convento di S.Croce, palazzo Curtopassi, la torre maestra e il Castello, la Chiesa del Purgatorio, la Cattedrale ed il campanile di S. Matteo. La campagna in primo piano costituisce di per sé un autonomo paesaggio mediterraneo con le sue tipiche costruzioni a tetto piano, tinte di scialbo e di rosa, con la sua caratteristica vegetazione di fichi, di melograni, di vigne, con quella pergola, così pugliese, retta da pilastri di tufo sulla cisterna. In questo scenario pone le sue figurine: le donne vicino al pozzo, il contadino che siede accanto all’uscio, il mulo che gli è di fronte ed i bimbi che giocano tra infiorescenze di cipolla, tutti riemersi dai ricordi della sua infanzia. Particolarmente animata la strada polverosa nella quale i coniugi sotto l’ombrellino hanno da poco incrociato un uomo sull’asino e un vecchio su gambe malferme che tornano in città. Due monelli oziano sul muretto.
Figure, queste ultime, non dissimili da quelle che popolano i quadri del de Mango orientalista.
Del mese successivo è il Panorama di Bisceglie da Via Fragata (Collezione privata Monza) Veduta di Bisceglie da Fragata . Nel quadro, come richiesto dal committente, l’attenzione del pittore s’incentra più precisamente sullo stabilimento vinicolo del Pasquale, costruito a ridosso delle mura aragonesi e sul bastione della Redda. A rivelare l’attività del committente, alle porte dell’edificio staziona un gran carro sul quale operai caricano botti di vino. Dal loggiato sovrastante un personaggio, forse lo stesso proprietario, sorveglia le operazioni. Una carrozza sopraggiunge da via Fragata mentre un calesse si allontana su via Porto. A sinistra, sopra le mura, si riconoscono le torri del castello, preda dell’edera e dell’abbandono, e la chiesa del Purgatorio. Il sole tramonta dietro la città, diffondendo una morbida luce dorata che ricorda, per la sensibilità cromatico-atmosferica, alcune intonazioni di Teodoro Duclère e di suo suocero Antoon Sminck Pitloo.
"Bisceglie, 25 agosto 1895", è datato pure un quadretto raffigurante una Barca sullo sfondo delle “Conche”.
La locale Società Operaia, in quell’autunno, gli mette a disposizione la sede per una mostra, conferendogli anche la nomina a Socio Onorario. In una lettera del 15 ottobre egli ringrazia anche per le lusinghiere parole rivoltegli "che io gradisco, non perché le meriti, ma perché mi vengono dalla benevolenza dei miei vecchi consoci". Le sue parole rivelano le persistenti difficoltà economiche del paese: "Prima di abbandonare la mia Bisceglie faccio un cordiale saluto a tutti i soci, e faccio voto che codesto sodalizio prosperi sempre, e con esso migliorino, e presto, le condizioni di tutti i nostri operai, che presentemente sono poco liete"

1896-1905 Il secondo periodo a Costantinopoli.
Rientrato a Costantinopoli esegue due ritratti commissionatigli a Bisceglie: quelli di Donato Pasquale (1896) e di Rachele Simone(1896).
Ha inizio un periodo particolarmente fecondo e creativo. Innumerevoli i quadri prodotti, tra cui ricordiamo Ostriche e champagne a Capodanno - natura morta (1898). Comincia a pensare ai soggetti di due dei suoi quadri tra i più noti. Ci restano, infatti uno Studio frammentario per il quadro “Alla fontana” e il Cartone del Bairam, Lunedì di Pasqua turca, entrambi datati 1899.
Un curioso disegno dello stesso anno, dal titolo Ecco il nostro ideale!, raffigurante due maialini che s’affacciano dallo steccato di un porcile su un cespuglio di rosa canina, vuol essere una "Satira agli artisti moderni che si sforzano di scegliere il brutto ch’è il loro bello nell’arte moderna", come egli scrive all’amico Campanale. Ciò dimostra il dissenso del pittore, legato a schemi tradizionali, rispetto ai soggetti trattati da alcuni colleghi.
La produzione non ha sosta: Un angolo di Prinkipo (1900), Venditore di uva (1900) Venditore d'uva e Spazzacamino (1900) e un Turco che legge il Corano (1900), prototipo per numerosissime repliche per il consumo turistico, a cominciare da quella inserita in un collage di immagini riunite sotto il titolo di Reminiscenze di Costantinopoli (ottobre 1900).
Nel 1901 partecipa al Primo Salone di pittura e scultura di Pera, le cui quattro sezioni comprendevano, rispettivamente, opere di “Artisti ottomani”, cioè quelli di origine turca tra i quali Amdy Bey, Ali Pacha, Halil Bey; di “Stranieri nazionalizzati”, quelli di origine straniera ma nati in Turchia, come Della Sudda, Farneti e Lina Gabuzzi; degli “Istruttori della Scuola di Belle Arti” come Oskan Efendi, Valeri, Warnia-Zarzecki e Bellò; ed infine di “Orientalisti che vivono in Costantinopoli” come Zonaro e de Mango. Al Salone del 1902, su 325 opere di 36 artisti diversi, ben 33 sono del de Mango. L’anno successivo, durante la terza mostra, viene alla luce il dissidio tra Zonaro, pittore alla corte del Sultano e i meno fortunati de Mango e Valeri occasionato dalla divisione delle somme rivenienti dalla vendita dei biglietti di una lotteria organizzata per finanziare il Salone. La serie dei Saloni si arresta con l’edizione del 1904.
Porta la data del 19 febbraio 1902 Il Cantastorie d’Oriente, qualificato dall’autore stesso come "quadro di grande dimensione", che il Marchione definisce "bella composizione, i cui studi furono fatti al sorgere del sole a Beirut nel 1882", riportando l’intervista a de Mango sull’origine del dipinto: "Siamo nel così detto Han degli orefici in Beirut: un vecchio caravanserraglio dal porticato ad archi moreschi, per tre quarti diroccato. Dietro appena quattro metri, si eleva un muro rettangolare, sulla cui sommità ci sono delle finestre e giù appaiono delle vecchie botteghe d’orafi con degli arabi dediti a lavori di filigrana. A destra un po’ più su del loggiato si vede un muro appartenente ad una moschea, sulla terrazza della quale si eleva un minareto, che proietta la sua ombra sopra una gran cupola, circondata da parecchie cupolette. Da epoca assai remota, questo singolare edificio, o meglio quella parte di esso meno danneggiata dall’intemperie, fu convertita in un caffè arabo, e tutto l’insieme di ruderi, sui quali da ogni parte si abbarbica e si avviticchia dell’edera, fornì al de Mango l’idea del suo Cantastorie d’oriente". Si dilunga poi a descrivere l’opera: "Il protagonista del quadro siede in alto, come su un trono, gesticolando, trasportato dalla foga della sua eloquenza ed esaltato dall’emozione del fatto che narra. Egli parla indubbiamente dei fatti e delle storie dei Sultani d’Egitto e dei Califfi di Bagdad o delle gesta portentose del gran profeta Maometto, e la gran moltitudine di gente che ascolta è più giù, raccolta intorno a lui, tutti scalzi su ricchi tappeti persiani, e, chi seduto, chi in piedi, ascoltano con religiosa attenzione. Negli occhi di essi si legge l’interna emozione e sul volto lo stupore immenso che provano del racconto. A sinistra di chi guarda il quadro, si vedono altri arabi seduti in gruppi che stanno centellinando il loro caffè o fumando filosoficamente il narghile, che ha dato la sonnolenza a qualcuno. E’ singolarmente caratteristico un gruppetto di tre arabi che staranno forse discutendo di politica dinanzi ad una bottega di farmachi. Al loggiato, con un gran tappeto pendente, s’affaccia una donnetta turca col suo ombrellino, dai più smaglianti colori e l’obeso marito le siede accanto, fumando il cibuk; un po’ più a destra poi vi è una povera donna araba con i suoi due bimbi, e sul parapetto della terrazza sottostante siede il domestico del signore turco. Questi sono forse gli unici abitatori delle camere cadenti poste sul loggiato. Alla quarta arcata del lato sinistro v’è la porta d’entrata del Han, tutta luminosa e da cui si vede una gran folla con diversi cammelli che attraversa la strada di fuori. Di rimpetto a questa porta si scorge poi la bellissima e caratteristica porticina d’una moschea, di stile prettamente arabo, e infine si notano da una parte alcuni cani che si contendono un osso e in fondo a destra un gruppo di cagnolini presso la madre". Anche Thalasso commenta quest’opera ritenendola, evidentemente importante: "La composizione è ben ordinata: gli effetti chiaroscurali sono sapientemente orchestrati, utilizzando nella loro esecuzione, tonalità che ricordano i modi caldi del celebre orientalista Decamps".
Del 1903 sono invece Stambul preso dal quai di Cadikeuy; Una notte a Fanaraki; Strada Meidan di Damasco Strada di damasco di cui eseguirà altre versioni nel 1908 e 1911, l’ultima, come si vedrà, confluita in un collage di immagini. Pure in quell’anno spedisce a Bisceglie i due carboncini rappresentanti il fratello Carlo de Mango e la moglie Lucia Contò Risalgono al 1904 una Fontana di Stambul, Il ponte di Galata, L’isola di Prinkipo e al 1905 un Ragazzo con asino (10 gennaio) e una Antica barca turca (5 aprile).

1905. Due mesi a Tripoli
Nel maggio 1905 si reca a Tripoli per consegnare il quadro L’entrata del Bosforo al Console Generale Cav. Medana, collezionista d’arte e suo estimatore. "Il panorama vario e complesso di Costantinopoli, preso da Romeli Hissar, - come riferisce Marchione - non poteva essere riprodotto con più meravigliosa rassomiglianza. Su per colline e poggi, specchiantesi nel Bosforo e nel Corno d’oro, si distende la città: tutta ombreggiata d’alberi, e qua e là, fra quelle vecchie catapecchie, l’una a ridosso dell’altra, si vedono ricchi palazzi d’ogni colore e d’ogni architettura, adorni di villette graziose e di giardini; dappertutto poi si notano cipressi dalle punte aguzze e moschee d’ogni grandezza, da cui si elevano, quasi bianche colonne di marmo sorgenti dal più bel verde, gli agili e snelli minareti, le estremità dei quali vanno a confondersi col cielo nel cui bello azzurro vaga mollemente qualche leggera nuvoletta bianca. Tra Pera e Galata, in mezzo a cataste di casette, si vede superba, quasi sfidare i secoli e mostrare l’antica nostra grandezza, la cosiddetta Torre dei Genovesi".
Medana gli commissiona un altro importante dipinto ed egli si ferma a Tripoli per trarre motivi di ispirazione. Qui il 28 giugno data il suo Studio frammentario del panorama di Tripoli "che verrà pubblicato in molte riviste e giornali stranieri ma non in Italia", come egli stesso annota su una riproduzione fotografica e che è ricomparso di recente sul mercato antiquario turco. Da tale studio, al suo rientro a Costantinopoli, eseguirà su commissione di Medana il Panorama di Tripoli di Barberia, datato 3 novembre 1905. Quadro di notevoli dimensioni (cent. 193x72), che per volontà testamentaria del Medana, frattanto nominato Ministro Plenipotenziario a Theran, sarà donato dalla vedova nel 1908 a S.M. il Re d’Italia e di cui, purtroppo, si ignora l’attuale collocazione (fotografia a Campanale 17 bis). Sempre il Marchione si fa carico della descrizione di quel dipinto: "E’ uno di quei lavori dinanzi ai quali si provano le più dolci e delicate sensazioni, che fanno elevare lo spirito nelle più pure regioni dell’arte. Un mare placido – rispecchiante un cielo leggermente sfumato di rosa – si distende immenso da una parte, confondendosi lontano con l’orizzonte; dall’altra parte lambe deliziosamente una sponda di rocce rosse, arse dal sole, sulla quale si distende Tripoli. Fra le casette bianche della città s’elevano qua e là, accanto alle cupole delle moschee, snelli ed agili minareti e dappertutto grandi palmizi, che col loro verde cupo fanno da sfondo magnifico al bianco degli edifizi, che dolcemente si riflettono nel mare.
Passano su quelle rocce dei popolani arabi: soli, a coppie, vestiti dei loro caratteristici costumi".
Sempre su appunti presi nel periodo trascorso a Tripoli, il 2 dicembre 1905 data a Costantinopoli il suo Arco di Trionfo a Marco Aurelio, così come appariva a quel tempo, circondato da misere catapecchie, che verranno successivamente rimosse.

1905-1911 Le esposizioni a Costantinopoli
Una fotografia del 1905 con annotazione autografa del pittore, documenta la "Seconda esposizione de Mango nella Sala della Società Operaia di Costantinopoli". Vi appaiono, oltre a numerosi soggetti di piccolo formato, destinati ad una facile vendita, anche quadri importanti quali il Cantastorie d’Oriente (1902), di cui s’è detto; Una notte a Fanaraki (1903), acquistato da uno dei figli del Sultano Abdul-Hamid; e Alla fontana, firmato ma non datato, che venderà solo nel 1912 a Parigi.
In quegli anni de Mango, pur non ricoprendo incarichi istituzionali come altri pittori italiani, si è guadagnata una autonoma posizione nel panorama artistico di Costantinopoli, tanto che più autori si interessano a lui. Il Mori nel suo libro Gli Italiani a Costantinopoli, pubblicato in occasione della Esposizione Internazionale di Milano del 1906, gli dedica un breve profilo biografico, seguito nel 1910 da Thalasso che lo inserisce nel suo fondamentale lavoro “L’Art Ottoman – Les Peintres de Turquie” edito a Parigi, cui faranno seguito quelle pubblicate nel 1913 da Marchione Figure d’Italiani a Costantinopoli sulla Rivista “Cultura e Progresso” e da Frangini in Italiani a Costantinopoli.
Nel 1906 dipinge una Isoletta di Bodoni.
Venuto a conoscenza della morte in Bisceglie del suo antico benefattore decide di onorarne la memoria con un Ritratto del conte Giulio Frisari, che esegue dopo un Primo studio del ritratto dell’Onorevole (1907). Intitola Su e giù per l’Oriente (1907), una composizione delle seguenti nove vedute 1)Costantinopoli. Torre di Leandro; 2)Le Piramidi d’Egitto; 3)Strada Meidan di Damasco (Siria); 4)Antiche torri di Beirut (Siria); 5) Tomba o Marabutto di Sidi Mauzur Hammoudij; 6) Barca egiziana; 7) Fortezza di Tripoli d’Africa; 8) Tramonto in Tripolitania; 9) L’Imam che dall’alto del minareto chiama i fedeli alla preghiera.
Tutti datati 1908 sono: la Fontana di Scutari d’Asia (15 agosto), la Via d’Eyoub, la Strada Meidan di Damasco, il Venerdì (Festa turca) alla fontana delle acque dolci d’Asia, Pendik. Data 17 settembre il Ritratto di Pietro de Mango, eseguito a carboncino inviandolo Bisceglie con la dedica: "Omaggio affettuoso alla mia cara sorella Mariuccia e famiglia per le loro cure infinite ed amorevoli prestate al nostro caro defunto padre sino all’ultimo respiro! Il loro aff.mo L. de Mango".
Nel 1909 dipinge: una Strada di Stambul, e un Paesaggio. In quell’anno desta viva impressione presso la comunità italiana di Costantinopoli la notizia del disastroso terremoto di Reggio e Messina. Il pittore, in aderenza al suo spirito umanitario, con Zonaro e ??? dona il materiale illustrativo per la pubblicazione di un numero speciale della rivista Kalem distribuita per raccogliere fondi in favore dei sopravvissuti. Dei due disegni che invia, il primo raffigura Un angolo di Eyab e l’altro Tristis est anima mea usque ad mortem. La richiesta di raffigurazioni di aspetti tipici orientali lo porta a ideare composizioni a trittico. Se ne conosce una del 1910: nel primo pannello a sinistra, una Porta di Santa Sofia Portale di ingresso di Santa Sofia ; in quello centrale, un Accampamento di zingari e nel terzo una Discussione politica di arabi, cui l’anno successivo seguirà un nuovo trittico con pannelli rispettivamente raffiguranti: un Piccolo mendicante sul ponte di Galata ponte di Galata , Donne all’imbarcadero, Sul fiume. Sempre del 1910 è anche la Fontana Goksu, replica di quello eseguito nel 1908.
Il suo studio è al n. 11 di Passage Galata-Serai quando, nell’aprile 1911, organizza con altri artisti la Quinta Esposizione di pittura e scultura a Costantinopoli, ove egli espone, tra l’altro un quadro di grande dimensione il Lunedì di Pasqua a Tatavla. "E’ una tela che meraviglia per la chiara ed equilibrata composizione, per l’accordo armonioso di colori che ha saputo cogliere e per la ispirazione fresca e sincera. Tatavla, il popolare e caratteristico quartiere, che, al sole cadente, traspare come avvolto da un velo diafano, è tutto risonante dell’allegria di numerosissime comitive, che, vestite in mille fogge, si son date ivi convegno, per sfrenarsi in divertimenti d’ogni genere. Qua e là, gruppi di popolani, quali seduti per terra, quali in piedi, quali nei caffè e nelle baracche improvvisate, che trincano mastica, birra, cognac, cantando in coro nenie amorose e patetiche o canzonette allegre, accompagnate dal suono di curiosi strumenti musicali. Alcuni camali, (facchini), dopo tracannato chi sa quanto liquore, brilli, si beano voluttuosamente in una danza strana e caratteristica, ammirati e forse invidiati da non pochi spettatori: in fila, gesticolando con ricercata delicatezza, si muovono al ritmo d’un tamburello che accompagna, coi suoi colpi cadenzati, il suono stridente d’un rudimentale clarinetto. In questa danza, che forma la parte più saliente del quadro, ricco di episodi riprodotti con vigile amore e formanti un tutto armonico nella complessa composizione, il De Mango, ch’è un disegnatore di doti perspicue ed un conoscitore consumato della forma umana, con tecnica vibrante di colore e di penetrante analisi psicologica, ha ottenuto effetti sorprendenti, superando brillantemente difficoltà non lievi".

1911-1912 La guerra italo-turca. Il rientro a Bisceglie e l’esposizione di Parigi
Con l’occupazione francese del Marocco (aprile 1911), la Libia, formalmente sotto la sovranità della Turchia, rimaneva l’unico territorio dell’Africa mediterranea dove ancora non si fosse imposto il colonialismo europeo. Una vigorosa campagna propagandistica condotta dai nazionalisti e condivisa da larghe fasce dell’opinione pubblica costringe il presidente del Consiglio Giolitti ad occuparla anticipando eventuali iniziative di altre potenze. Lo sbarco del corpo di spedizione italiano in Libia prese il via il 29 settembre 1911. Le forze italiane si impossessarono con relativa facilità delle coste, ma incontrarono una strenua resistenza verso l’interno. La Turchia nel frattempo coinvolta nella prima guerra balcanica (ottobre 1912- maggio 1913) si affretta a concludere la pace con l’Italia che oltre alla Libia ottiene l’arcipelago del Dodecanneso e l’isola di Rodi (Trattato di Losanna, ottobre 1912).
Espulso dalla Turchia, de Mango nel 1911 torna a Bisceglie, dove, in una modesta casetta, allestisce "il suo studio, il suo eremo, per produrre nuove opere, quasi a conforto del suo animo appassionato e del suo spirito irrequieto. E la guerra … non poteva lasciare indifferente il pittore De Mango, non poteva non toccare il suo cuore, non poteva non istigare la sua fantasia … ed ecco che nella ospitale Bisceglie, dove tanto entusiasmo ed ammirazione ha saputo destare con la sua arte affascinatrice e col suo contegno modesto, riproduce in due quadri di effetto magnifico e suggestivo"(MARCHIONE, 1913) gli episodi della Resa di Rodi (Comune di Bisceglie) e dello Sbarco a Bengasi (Collezione privata).
"Il Comune di Bisceglie – scriveva de Mango nel luglio 1912 ad Emilio Marchione - m’ha ordinato un quadro da collocare nell’aula consiliare, lasciandomi libero nella scelta del soggetto. Si contenterebbero anche d’una composizione di soggetto orientale; ma io ho pensato bene di offrire una composizione viva e palpitante: La guarnigione turca di Rodi, vinta, si arrende al generale Ameglio. Qualche altra commissione ho avuto ed altre ne avrò: sarà questo il solo mezzo per rifarmi alquanto dei gravi danni prodottimi dalla guerra"(MARCHIONE, 1913).
La Giunta Comunale, infatti, il 20 luglio delibera l’incarico e, successivamente, fissa il compenso in lire 800 anche in considerazione della generosità del pittore che precedentemente aveva offerto al Municipio il ritratto del Senatore conte Giulio Frisari. La consegna del quadro, tuttora collocato nell’aula consiliare, con un ricevimento – che il Marchione definisce "clamorosa dimostrazione" in onore del pittore. Qualche anno prima, il governo italiano, apprezzando il suo lavoro all’estero, lo aveva nominato Cavaliere e poi Commendatore della corona d’Italia.
Tra gli altri lavori eseguiti a Bisceglie conosciamo una Barca con vela latina (9 settembre 1912), e Il giudizio di Paride (26 settembre), una grande tela commissionata da Donato Pasquale che gli fornisce modello e dimensioni. Su di esso si legge, infatti, l’indicazione autografa "L. de Mango da C. Mantegazza". (Casa Ventura)
Nello stesso periodo deve aver conosciuto Berardino Campanale, professore di disegno, con il quale intratterrà corrispondenza inviandogli le fotografie dei suoi dipinti, fondamentali per la presente relazione.
Nell’Esposizione di Parigi del 1912 presenta il noto quadro Alla fontana che viene acquistato da un suo concittadino, il commerciante Francesco Di Liddo. "All’ombra d’un gran salice, dai ramoscelli spioventi, c’è una fontana sulla quale il tempo ha impresso le sue orme. Un giovane con la brocca in mano è per attingere dell’acqua; mentre una donna turca infagottata nel suo tradizionale jascemah, dai colori più vivi e appariscenti, col volto coperto dal feregè, siede mollemente lì vicino. Qua e là si vedono numerosi gli immancabili cani, quali famelici fiutando qualche osso da rosicchiare, e quali sdraiati sul suolo con quell’indolenza ch’è propria dei loro protettori. Poco lungi dalla fontana si vede un cimitero turco, disseminato di cipressi che elevano le loro punte nere in un cielo sereno, interrotto da leggerissime nuvolette, quasi ombre bianche mollemente vaganti in un campo azzurro. E più lontano il mare, quel mare che tanto attrae il De Mango e ch’egli tanto sa riprodurre sia nei dolci pleniluni di primavera, quando le sue acque dolcemente accarezzate dalla brezza s’increspano, quasi sorridenti, sia nelle uggiose giornate invernali quando le onde fortemente mugghianti, s’infrangono, terribili contro gli scogli". (Marchione)

1912-1929 L’ultimo periodo a Costantinopoli
Firmata la Pace di Losanna (ottobre 1912) egli può finalmente tornare a Costantinopoli che considera sua patria adottiva.
Il Maestro Rosario Nava compone per la circostanza la marcia-inno col titolo Il ritorno degli espulsi, il cui spartito viene illustrato in prima pagina da de Mango.
Sull’onda del ricordo della guerra dipinge un Episodio della Battaglia di Filenni, facendone dono a quella Società Operaia. Sul retro l’indicazione del soggetto: "Granatieri perlustrano la corte appostandosi per sorprendere i nemici che vi si nascondevano, pubblicato su L’Illustrazione Italiana, 10 novembre 1912". (Istambul, Società Operaia)
Egli, ormai, ha settantasette anni e quasi insensibile ai mutamenti che il nuovo secolo e gli ultimi avvenimenti politici vanno introducendo in Turchia continua a proporre una produzione ripetitiva con sempre minori eccezioni. Tra queste ricordiamo una Costantinopoli dal Ponte del Serraglio(1917 ?)
Sopravvenuto in Italia il Regime fascista (1922) questo si organizza vengono create le Case d’Italia all’estero (Motivazioni del De Mango vedi Fusco)
1923 “Uomo che legge il corano” (Coll. Privata) (Antik Dekor, 2003)
1925 “Imbarcazione”(Haydar Akin) (S. GERMANER, Z. INANKUR, Istambul, 2002)
Costantinopoli, 7 dicembre 1928. Si inaugura la Mostra del pittore De Mango in due sale della Casa d’Italia. In una sono esposte varie tele e nell’altra "i preziosi album, nei quali il De Mango raccoglie schizzi e ricordi della sua lunga e gloriosa carriera" Oltre che manifestazione del valore artistico del de Mango, la mostra "costituisce una impareggiabile fonte di documentazione dei costumi e dei molteplici aspetti della pittoresca vita turca d’un tempo". In tale occasione l’On. Dino Grandi, allora sottosegretario agli Affari Esteri, giunto a Costantinopoli per restituire la visita che il Ministro degli Esteri turco, Tewfik Ruscdì bei, aveva fatto a Milano nella primavera dello stesso anno, si trattiene a cordiale colloquio col venerando pittore ed acquista la “Marina di Prinkipo (1887)” destinandola a Palazzo Chigi (Allora sede del Ministero degli Affari Esteri) In essa De Mango, che è "un vivace compositore di quadri d’ambiente e di costume, ha saputo questa volta abbandonare le viuzze chiassose ed animate per appartarsi in raccoglimento nell’angolo remoto e solitario d’un’isola, ove la natura si mostra nella sua severa imponenza, tra cielo e mare, nella rude dorsale del monte che s’immerge dolcemente nell’acqua. Un lembo della terra d’Oriente vive e s’anima in questo quadro, che, più si contempla, più si imprime nei suoi dettagli meravigliosi nell’anima di chi guarda, suscitandovi quel senso di imponente solitudine con cui la natura sa trovare la sua grandezza"(Lacchia in Il Legionario, 1929)
Rientra a Bisceglie nel 1929
30 aprile 1929 scrive da Costantinopoli al fratello Carlo: "Qui qualche cosetta comincio a farla. Il Console Generale vorrebbe qualche mio lavoretto. Qualche professore della nostra scuola per portare un ricordo in patria. Vedi dunque che se restavo ad intisichire a Bisceglie, dove l’irritazione era arrivata a togliermi il sonno la notte, poco mancava che non cominciassi ad impazzire. E’ pura conseguenza quando si abbia da fare con gente che per vie subdole è diventata ricca. Possono diventare Cavalieri, commendatori, principi, baroni, resteranno sempre furfanti, quello che erano in origine … Niente di meglio nella vita che l’onestà!". "L’ignoranza del valore dei lavori d’arte in Italia è un tormento per gli artisti! Il minimo quadretto, dato così per ricordo, sorpassa la somma di lire italiane 150.Ed è anche vergognoso il non saper neppure guardare un quadro, né saper vedere il soggetto ch’esso rappresenta; come per esempio nel caso di Pietruccio (nipote del de Mango), intelligente in tutto, e un gran pezzo d’asino in arte: perché non ha saputo vedere nel quadretto che gli regalai (e di cui, come per le altre cose, non fui nemmeno ringraziato!) che un pastorello, che ha trovato un laghetto, col palmo della mano beve l’acqua e si disseta Pastore che beve . Intorno al pastorello ci sono delle pecore e l’indispensabile cane. Bisogna essere cieco per non vedere simile soggetto! Un altro ignorantaccio! …Nei tre mesi di soggiorno che fui a Bisceglie i miei 40.000 concittadini non mi fecero guadagnare un soldo. … Lo stare senza lavoro costà mi aveva prodotto la nevrastenia e la notte cominciavo a non poter più dormire: io sono un grande lavoratore, come il nostro santo babbo, che Dio lo benedica: il giorno che non lavoro la sera sono di pessimo umore. Quando Dio vorrà mi ritirerò, ed allora saprò io come passarvi la vita"(Leonardo de Mango al fratello Carlo, Costantinopoli 5 luglio 1929)
"passano gli anni come in un sogno! Partivo dall’Italia per l’estero il 1873. Ecco passati 56 anni ch’io dimoro in Oriente! Ho lavorato sempre e sempre lavorerò; ma non ho mai potuto afferrare per i capelli la fortuna! Tuttavia ringrazio la Provvidenza che mi ha assistito sinora e la prego di continuare ad assistermi sino alla fine dei miei giorni." (Leonardo de Mango al fratello Carlo, 6 novembre 1929)
1899 "Ecco il nostro ideale! … (Satira agli artisti moderni che si sforzano di scegliere il brutto ch’è il loro bello nell’arte moderna)"
"La vita di L. De Mango può ben essere additata ai giovani come esempio luminoso di onesta operosità e di fierezza, di devozione e d’amore all’arte, di sforzo costante e tenace verso il raggiungimento di una meta, sognata ed agognata, perseguita con tutte le forze nobili dell’animo e dell’ingegno. Egli fu un valentuomo. E in ogni suo quadro c’è il tentativo nobilissimo, di elevarsi, ed è viva e presente in Lui, sempre, l’immagine della Patria lontana, che Egli cerca di onorare con le sue opere, italiano, ben fiero di essere tale"(Lacchia ne Il Messaggero … 7.2.1930)

1930 La morte e la dispersione del suo patrimonio
"La morte è una cosa orribile, beato chi si può divertire durante la vita. L. de Mango". Scriveva sul retro di una Fotografia del de Mango con dedica: "Al mio caro nipote Pietro de Mango. Ricordo di L. de Mango. Bisceglie, 20 febbraio 1928"(Sergio De Mango)
Muore improvvisamente a Costantinopoli il 27 gennaio 1930
"Aveva lavorato tutto il giorno (come aveva fatto per tutta la sua vita) fra le tele e pennelli, accatastati in quel disordine polveroso che è nello studio degli artisti; e se n’era uscito a sera come di consueto, canterellando, senza pensare che quello era l’ultimo addio alle cose che gli erano tanto care. E non è più tornato. All’Operaia, lo hanno aspettato invano per la quotidiana partita; invano lo hanno atteso i suoi pennelli e le sue tele …"(Il Messaggero degli Italiani 7.2.1930)
La notizia giunge a Bisceglie tramite Mons. Nicola Giannattasio(NOTA) che scrive al cugino Carlo, fratello di Leonardo de Mango(3-febbraio 1930)
31 gennaio 1930 a Costantinopoli era apparso un primo articolo su Il Messaggero degli Italiani dal titolo “La fine d’un nobile pittore dell’Oriente luminoso” con un breve profilo biografico del pittore e con la cronaca dei solenni funerali che si svolsero il 29 febbraio, nella chiesa di S.Antonio a Pera, con l’intervento del Regio Console Generale Cav. Luigi Arduini, del Segretario del P.N.F. Comm. M. Campaner, della Segretaria del Fascio Femminile Sig.ra Capizzi, il Ten. Col. M, Capizzi ….il Prof. Lacchia ecc. Erano pure presenti i Consiglieri, il Presidente e il Vice Presidente della Società Operaia Italiana, i Presidenti o i Rappresentanti della “Dante”, della Beneficenza, della Camera di Commercio, dell’Università Popolare. Vi erano pure le orfanelle dell’Istituto Principe di Piemonte con le loro Reverende Suore, e numerosi connazionali. Accanto al feretro, tenuta da un decano del sodalizio, trovavasi la bandiera della Società Operaia. Attorno alla bara erano state poste le corone di fiori con nastri tricolori offerte dal Fascio, dalla Società Operaia, dalla “Dante e dalla famiglia Primi. Dopo la messa di Requiem e il canto delle esequie, i quattro Consiglieri dell’Operaia alzarono la cassa e la deposero sul carro funebre che attendeva fuori della chiesa, il feretro venne quindi trasportato al Cimitero Cattolico Latino di Ferikioi accompagnato da molte autorità e da uno stuolo di amici ed ammiratori.(da il Messaggero degli Italiani) seguito il 7 febbraio 1930 da un altro Articolo del Prof. Tito Lacchia su Il Messaggero degli Italiani che traccia un più completo profilo biografico dove avverte "ma l’ultimo decennio non fu scevro di miserie e di amarezze! La decadenza inevitabile si manifestava nelle sue opere, non più ricercate ed apprezzate come prima; ma non se ne amareggiava ….A me che mi felicitavo di trovarlo sempre al lavoro, vegeto ed arzillo alla sua età veneranda, diceva un giorno fra il triste ed il faceto: "Anche Tiziano a novant’anni dipingeva, ma i suoi allievi cancellavano sui quadri la sua firma perché non togliesse fama al grande veneziano". Non si giudica un uomo che muore a 87 anni dall’ultimo decennio della sua attività. Bisogna risalire almeno trent’anni per trovare l’artista nel pieno possesso del suo ingegno". (Il Messaggero degli Italiani, 7.2.1930)
I PROPOSITI DI RIENTRO
"contava ora di chiudere con un’ultima esposizione l’esistenza operosa per andare a morire tranquillo al suo paese. Dio non glie lo ha concesso, ed è morto, solo, com’era vissuto, senza la vicinanza d’alcuno dei suoi"(Tito Lacchia al Comm. Luigi Ioli 28.1.1930) "avrei voluto vedere compiuto il suo desiderio di ritornare in patria per passarvi gli ultimi giorni. Anzi stava preparando l’ultima esposizione dei suoi lavori, allo scopo di realizzare il massimo ed evitare troppe spese di trasporto e di dogana per i quadri" (Marcello Campaner al Comm. Luigi Ioli, 29.1.1930)
LA TRISTE DISPERSIONE DEL SUO PATRIMONIO PER L’INCOMPRENSIONE DEGLI EREDI NELLE LETTERE DI MONS. GIANNATTASIO E’ il primogenito di numerosissima prole anche perché alla morte della madre ancora giovane suo padre, sposa Angela Dell’Olio da cui avrà altre cinque figlie.
"Il Sig. Ioli, suo vecchio amico da 40 anni a Costantinopoli, mi ha detto che il povero Leonardo … intendeva lasciare al Municipio (di Bisceglie) dei quadri e un suo album. …Questo resto di patrimonio artistico dove finirà? … penso che non sia da trascurare, sopra gli interessi materiali, fare qualche cosa per tenere onorato il suo nome di artista di valore". Nicola Giannattasio al cugino Carlo de Mango 5.2.1930
"bisognerebbe anche delegarmi non solo a curare di qui (Roma), presso le autorità consolari, ma anche amici affezionatissimi al povero Leonardo, la liquidazione ereditaria, ma anche un certo potere discrezionale solo per curarne il decoro artistico, come destinazione di qualche cosa allo Stato, per memoria di Lui e ancora del vostro nome stesso" Nicola Giannattasio al cugino Carlo de Mango, 10.2.1930
"Abbiamo fatto sigillare la stanza in cui stanno gli effetti personali ed i quadri e si sta procedendo, in presenza del R°. Console ad inventario e ad estimazione del valore dei quadri. ... Può stare sicuro che tutto faremo per onorare la memoria dell'artista scomparso ed avremmo infatti intenzione di acquistare alcuni quadri per la Casa d’Italia ma per fare questo occorre, ripeto, intendersi cogli eredi od avere dai medesimi piena ed estesa procura ad agire". Marcello Campaner a Carlo de Mango, 18 febbraio 1930)
"abbiamo visitata la tomba del povero de Mango ed a lui abbiamo rivolto un mesto ed affettuoso pensiero. Povero vecchio amico! Egli sta bene ormai; ma ci fa pena il pensare che nessuno si interessi di lui. Che le sue ultime opere giacciano dimenticate da quasi un anno senza che gli eredi pensino a quel che se ne possa fare! … E’ possibile che nessuno dei suoi pensi a liquidare questa pendenza? …Certo il poveretto, se potesse intervenire, ne sarebbe indignato, ed a ragione, poiché dopo tutto il frutto di tanto dignitoso lavoro meriterebbe miglior sorte" Tito Lacchia da Istambul al Comm. Luigi Ioli in Roma)
"La premura degli amici del povero Leonardo è che tirando per le lunghe, costretta la Società Dante Alighieri a sgomberare la stanza da lui occupata, colla crisi presente, i quadri vadano venduti per nulla, e frattanto si perde anche la possibilità d’identificare la sua sepoltura, in una fossa di terra comune, poco fa appena riconosciuta da un amico per l’avanzo di una corona. … è bene che vi preoccupiate che qualche cosa il Governo, in memoria dell’artista, sia autorizzato a prenderla per sé e conservarla in qualche luogo, in perenne suo ricordo, come il Museo di Bari, il Comune di Bisceglie, l’Esposizione di Arte Moderna in Roma o il Ministero delle Colonie. Ed insieme, tutti gli eredi incarichiate il vostro procuratore comune Cav. Baldieri di provare a fargli un ricordo al Cimitero, togliendo la salma dalla fossa, con una parte del ricavato. Questo è il mio pensiero. Voi regolatevi. Non ho risposto prima per non dire cose inutili, molto più che sentii che a Bisceglie si facevano tanti strani commenti sulle mie prime relazioni a proposito…"(Nicola Giannattasio al cugino Carlo de Mango 26.12.1930).
Carlo LIBERTO 14.05.2002
"dopo la morte di De Mango, le sue opere giacenti nel suo studio (una ventina, credo), furono portate in custodia al Consolato Generale d’Italia in Istambul. L’allora Console Generale li serbò nella soffitta della Sede. Mentre, secondo me, avrebbe dovuto spedirle a Bisceglie, o almeno darne avviso a chi di dovere. Quando io vi ero in servizio negli anni ’50, l’allora Console Generale Mario Canino (da tempo deceduto) decise di portare alla luce tali opere che giacevano ancora in soffitta con possibili danni. Quindi diede avviso ai connazionali della loro vendita. Per la verità non fu un assalto. Probabilmente i quadri, senza le cornici, erano stati giudicati “opere di colore locale”, dando un’errata interpretazione, anche se allora i pittori orientalisti non erano così apprezzati, come giustamente lo sono diventati col tempo. Ad ogni modo le opere furono vendute, e se ben ricordo anche a qualche mercante di quel Bazar. Il ricavato (non ho la minima idea di quanto fosse) venne devoluto alla locale Opera di Beneficenza".

Agnelli alla fontana Al mare Bagno a Fenerbahce Barche a vela sul Bosforo Bolle di sapone Buyukdere Carrozza di emigranti Chiaro di luna Davanti al portone Haydarpasa Mendicante Muro del pianto Poeta popolare a Beirut Strada del Cairo Strada di Eyup  133.JPG
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